Sono Giorgia Catalano, mamma di Matteo, un ragazzo di 19 anni, affetto da dermatite atopica, fin dalla tenera età.
Negli anni, l’andamento della patologia ha conosciuto diverse fasi croniche, che si sono alternate a fasi latenti.
Da piccolo, diagnosticate anche alcune allergie alimentari, seguiva una dieta speciale che, a scuola, gli permetteva di nutrirsi con quel poco – visto che i cibi “nemici” erano tanti – che poteva. Si sentiva deriso dai compagni che lo consideravano un diverso (ancora oggi si sente sempre un ragazzo di serie B e tanti sono gli sforzi per fargli capire che non è così).
Durante la frequenza dell’istituto superiore, la sua dermatite è diventata invadente e fastidiosa.
Il suo corpo era completamente devastato (genitali compresi). La pelle era oltremodo infiammata. Non c’era nulla che gli offrisse sollievo. Nessun dermatologo seppe consigliarci un prodotto – se non risolutivo – quantomeno utile ad alleviargli la sofferenza. Creme e unguenti che ci venivano proposti lo danneggiavano maggiormente. Per un lungo periodo fece uso dell’arcinoto Topialyse, ma l’infiammazione cutanea non passava.
Ogni giorno, come da copione, almeno per tre volte, doveva ungersi con il prodotto appena citato che, purtroppo, prevede un lungo tempo di assorbimento. Questa operazione veniva svolta anche alla sera, prima di andare a dormire, e al mattino, prima di andare a scuola.
Matteo dormiva su lenzuola sempre umide e dall’odore caratteristico dell’idratante/emolliente.
Al mattino, era una tortura (anche in pieno inverno) uscire con i vestiti umidi e il corpo ancora “bagnato” dal Topialyse. Guai indossare una maglietta, come tutti i suoi coetanei! Doveva indossare camicie a manica lunga, un po’ comode, di puro cotone. I compagni lo prendevano in giro, perché era l’unico ragazzo elegante della classe. I momenti più brutti li ha vissuti durante un paio di gite scolastiche. Nella stessa stanca con i compagni, Matteo doveva ungersi la pelle e rimanere in boxer per farla asciugare. Insomma, senza entrare nei dettagli, le umiliazioni sono state davvero tante. Anche i rapporti interpersonali – soprattutto con le ragazze – erano diventati quasi impossibili. Persino il viso era violaceo, per la forte infiammazione cutanea.
Matteo è poi stato seguito da una brava nutrizionista che gli ha impostato un piano alimentare che tenesse conto della sua brutta dermatite. Poi, il ruolo determinante è stato quello di un professore in dermatologia di Torino che gli somministrò tre iniezioni di Kenacort, ad intervalli di 15 giorni, l’una dall’altra. Come per magia, la pelle iniziò a sbiancare dopo la prima fiala. Almeno una volta, durante l’anno, ricorriamo ad una iniezione di mantenimento che gli consente di tenere in pugno la situazione e di non farla degenerare, perché sappiamo bene che cosa potrebbe significare.
Questa è – come tante altre – la storia di Matteo.
Da madre, ho provato disagio, frustrazione e impotenza direttamente proporzionali al malessere di mio figlio. Vederlo seduto sul suo letto, solo con i boxer – anche in pieno inverno girava per casa in quel modo, perché non sopportava il peso degli abiti – incupito e affranto (sull’orlo di una crisi depressiva) mi uccideva dentro. Non c’era nulla che lo facesse sorridere. Parlai più volte con alcuni dei suoi insegnanti che, fortunatamente, sono sempre stati molto comprensivi e gli sono sempre andati incontro. E quando non lo vedevano a scuola, capivano che Matteo stava davvero male (e non solo fisicamente).
Credo che la sensazione più assurda e tremenda, al tempo stesso che io, madre, abbia potuto provare in quel periodo, sia stata proprio il senso di impotenza. Ero felice quando c’erano piccoli – anche piccolissimi – passi in avanti (vedi con l’inizio della nuova dieta indicata dalla nutrizionista). Anche lui è sempre stato molto attento alle piccole cose e ha sempre notato subito anche i più piccoli cambiamenti del suo stato.
Oggi, lo vedo più sereno, ma in fondo, so che rimane la paura che il mostro ritorni. Noi sappiamo che c’è, perché di tanto in tanto si fa vedere (e adesso sappiamo riconoscerlo…).
E’ li’. Non si vede, ma c’è.